L’uomo, lo Spirito e la vita

spiritouomo

(Questa comunicazione è del 1971. Qui l’Entità Andrea inizia un suo discorso senza domanda iniziale. – Nota GdS.).- (Nota posta originariamente a piè pagina – Nota del curatore).

… Il numero dei presenti aumenta. Questo, naturalmente, è un segno positivo, ma aumentano, ovviamente, le difficoltà tecniche della seduta la quale si regge su di un filo precario e cioè proprio sull’inserimento delle entità, di questi esseri, quali noi siamo, attraverso la qualità medianica del sensitivo, cioè del medium. È dunque, una catena allargata può diventare anche una forza enorme, a condizione che la catena stessa sia armonica, e cioè a dire coincidano gli interessi e le intenzioni di tutti quanti. Quindi torno a raccomandare alcune nozioni di base che dovrebbero servire per il buon funzionamento della seduta. Principalmente, l’attenzione vigile, concentrata sui problemi che si vanno trattando. È difficile lasciare da parte vostra i propri pensieri, io questo lo so, e non chiedo neppure tanto, chiedo semplicemente che, in ogni caso, predominino gli interessi verso i problemi che si trattano. Questo non può accadere sempre, perché molte volte tocchiamo argomenti non congeniali a tutti: è inevitabile che ciò accada. Siete molti e ciascuno ha i suoi problemi spirituali o culturali, e ha proprie esigenze interiori. E, pertanto, è chiaro che ognuno di voi reagisce alla discussione in maniera differente dall’altro, creando certi scompensi che colpiscono il fenomeno, cioè la “trance”, e che la disturbano.

Pertanto, una regola aurea generale sarebbe quella di evitare di presenziare alle sedute quanto si è turbati da gravi pensieri, tali comunque da disturbare la seduta. Anche se io so che molte volte i vostri problemi personali, interiori, di natura spirituale, vengono risolti proprio attraverso la seduta. Ma questo si può accettare solo per catene brevi e non per catene lunghe, cioè soltanto quando il numero dei presenti è molto limitato.

Vorrei allora riprospettare una questione molto vecchia, in un certo senso, ma che ancora una volta devo trattare, perché, di volta in volta, si aggiungono nuovi ospiti. E cioè a dire, che la vostra esistenza, in pratica, si svolge su tre linee: quella della fede, del materialismo, oppure dell’indifferenza. In ogni caso, voi scegliete l’una o l’altra di queste strade, e la scegliete per vocazione naturale, direi. Una vocazione naturale che si è andata formando durante la vostra adolescenza. In linea di massima, durante tutto il corso della vita, la maggior parte degli uomini non sfiorano neppure la problematica connessa alla fede. Vi sono uomini che dalla nascita alla morte non si sono rivolti una sola domanda; hanno semplicemente, non dico accettato, ma seguito quello che era stato loro insegnato sin da piccoli. Qual è la posizione dello Spirito lasciato il corpo, di fronte alla sua condizione spirituale? Cioè a dire, l’essere spirituale, l’anima, come voi la chiamate, in realtà, sulla Terra, attraverso le molteplici esperienze della Terra, quale motivo d’esperienza supplementare trae per quanto riguarda la spiritualità.

Vi sono Spiriti che sulla Terra non hanno creduto in niente e ve ne sono altri, per contro, che hanno creduto fin troppo. Cioè a dire, hanno creduto anche a ciò che non doveva essere assolutamente accettato. Priva di ogni Spirito critico, la vita dell’essere umano si svolge prevalentemente sotto il segno dell’indifferenza. Accade che lo Spirito, poiché percorre la materialità più o meno fino in fondo, e cerca di trarre da essa gli elementi più rappresentativi, può ritrovarsi – come Spirito – senza avere la possibilità di vagliare sufficientemente ciò che ha fatto. Perché dico questo? Perché noi sosteniamo, e lo abbiamo sempre fatto, che le azioni degli esseri umani sono valide soltanto se si qualificano spiritualmente, cioè a dire se portano il contrassegno di una critica interiore. I gesti e le azioni che voi potete compiere nel corso della vita, quando non passano attraverso la censura interiore, quando, cioè a dire, non diventano esperienze di tipo spirituale o almeno mentali, non valgono niente, sono perfettamente inutili, siano esse buone, oppure cattive.

Da questo punto di vista, l’azione negativa o l’azione positiva si bilanciano completamente. Un essere umano che compie un’azione antisociale senza una compartecipazione, né dello Spirito, né della mente, si ritrova semplicemente in un’azione dannosa per il prossimo e può non essere affatto in colpa se, appunto, non vi ha partecipato attivamente con la propria personalità. Nello stesso modo non si trova affatto in merito colui che, per contro, compie un’azione definita buona senza intima partecipazione. Sicché non sono le azioni, buone o cattive, che ai fini spirituali hanno un valore, ma soltanto le “compartecipazioni” quando, cioè a dire, tutta la struttura dell’essere spirituale e mentale viene a essere coinvolta dall’esperienza. Non ci si può ingannare su questo punto. Le azioni buone come le azioni non buone non si vendono e non si comprano, bisogna soltanto che esse si filtrino di volta in volta attraverso lo Spirito. Questo significa anche che la maggior parte della vita umana non assume un valore definitivo, lasciato il corpo. O non assume alcun valore in nessun caso, quando non vi è stata compartecipazione dell’intera personalità. E noi assistiamo a interi periodi di vita di un numero enorme di esseri umani i quali, lasciata la Terra, e ritrovandosi in una vita diversa, si ritrovano praticamente quasi nella stessa situazione di quando vennero in Terra. Salvo l’esperienza vera e propria della vita e della morte, della nascita e della morte, per meglio dire, il resto è del tutto marginale e comunque non è tale da poter pienamente giustificare un’intera vita svolta in Terra.

Questo significa non soltanto che la vita diventa un vero e proprio impegno di tipo interiore, ma significa anche che lo Spirito, evidentemente, non può passare attraverso la Terra ed essere risucchiato dal suo anonimato. Ovvero, pur risucchiato, deve contrassegnare sé stesso, sia pure in un disegno più vasto, qual è quello sociale. Egli deve cioè affermare la propria personalità, qualunque essa sia, perché (ripeto una cosa già detta) non ci preoccupiamo granché del tipo o del valore morale dell’azione, ci preoccupiamo semplicemente che all’azione corrisponda una partecipazione persuasiva e piena dello Spirito.

L’inerzia, l’indifferenza: sono queste le peggiori colpe di uno Spirito, sicché noi possiamo vedere un essere che durante la vita non ha fatto assolutamente niente, né di bene né di male, e lo si può considerare a giusta ragione un essere che è in colpa, cioè a dire un essere che ha sbagliato. Perché l’errore non sta soltanto nel compiere un’azione antisociale, quanto anche nel non promuovere azioni positive. È un po’ la questione del bene e del male. Non è una necessità, talvolta, evitare il male; deve diventare una necessità imporre il bene. E così si può essere chiamati a rispondere anche del bene che si poteva fare e non si è fatto. Questo concetto è fondamentale nel giudizio dello Spirito perché, quando sarete morti, quando abbandonerete il vostro corpo, non sarà fatta un’analisi tanto minuziosa delle vostre giornate o della vostra vita. Quando avverrà cioè una valutazione globale del comportamento generale, prescindendo dalle applicazioni particolari. E cioè, nella maniera con cui avete condotto la vostra esistenza e come siete riusciti, attraverso la materia, ad assumere certe esperienze proprie della materialità, ma sapendole trasformare in esperienze di tipo mentale. Per esempio, una persona che soffre, che è ammalata, o soffre per altre ragioni di tipo sociale, di tipo economico, di tipo familiare, ebbene, questa esperienza che talvolta può durare tutta una vita può non avere alcun valore di carattere spirituale se l’essere non è riuscito a trasferire su di un piano mentale questa propria vita di dolore, cioè a operare una vera e propria transferenza, a travalicare al di là del puro dato materiale dell’esperienza per giungere a una partecipazione interiore della sua esistenza. Perché lo Spirito per quanto sia occupato quasi totalmente o ostacolato quasi totalmente dalla materia, ha una sola possibilità di rendere utile la sua vita, e cioè quella di operare attraverso il lavoro della mente e, attraverso la giusta ispirazione che può nascere dal suo rapporto con la mente, di operare una trasformazione dell’esperienza.

Le esperienze umane non sono esperienze spirituali. Per poter diventare spirituale, un’esperienza deve essere trasformata. La trasformazione avviene a livello inconscio, laddove cioè più direttamente è possibile inserire certi rapporti tra lo Spirito e la materia. Se l’uomo non fa questo ha una vita quasi inutile. Come la vita di un numero enorme di esseri umani i quali credono che basti soffrire, che basti lottare, che basti lavorare, soccombere o vincere, per poter poi averne il cosiddetto premio nell’altro mondo. Non è una questione di premi, naturalmente, ma vorrei dire che non è questo il tipo di vita che lo Spirito intende condurre. Il tipo di vita che egli intende condurre è proprio quello di una partecipazione a livello del mentale, richiamando cioè fortemente dentro di sé le sue più vigili istanze. In altri termini, riconoscere la propria matrice, analizzare sé stessi, scoprire dove sono le vere forze che operano dentro di voi, che ciascuno ha naturalmente ma che tutti ignorano dove siano.

Sicché, quando si parla di Spirito e diciamo che ognuno di voi ha un’anima, voi siete pronti a dire: ma quest’anima noi non la vediamo, quest’anima non la sentiamo, dove si trova quest’anima? E non vi accorgete, appunto, che esponendo in questi termini la questione voi fate un’autoaffermazione di ignoranza, in un certo senso, perché voi siete l’anima, voi che quando vi presentate con tali problematiche rivelate pienamente che la problematica nasce dal vostro inconscio, sia pure corretta dalla cultura, e nasce da una profonda istanza interiore che porta alla richiesta. E l’anima siete voi e non è una cosa diversa da ciò che siete, proprio perché, quando sarete dall’altra parte, vi autoriconoscerete così come siete. E dunque non c’è alcuna ragione per pensare a un’anima diversa. L’anima siete voi, non c’è bisogno di riconoscerla, non c’è bisogno di scoprirla perché siete già voi ad affermarvi come tali nel momento stesso in cui vi trovate in una dimensione magica, in una dimensione mentale, in cui si riconosce il segno dello Spirito.

Queste cose, tuttavia, abbisognano di approfondimento. Voi, in genere, della vostra vita non sapete che farvene, questa è la verità. Voi l’accettate, vi ritrovate sulla Terra a un certo momento, scegliete una strada più o meno giusta, o più o meno sbagliata, quasi sempre più sbagliata che giusta, sempre perché non sapete riconoscervi, e camminate lungo la vostra vita un po’ a casaccio, senza un chiaro orientamento e senza aver saputo riconoscere voi stessi. Ed ecco che allora, camminando in siffatto modo voi finite veramente col perdervi. Ma il perdersi, intendiamoci bene, non significa non avere sulla Terra ciò che l’uomo si aspetta, una pseudo-felicità o una pseudo-condizione più o meno buona di lavoro, economica, no. Si possono avere tutte queste cose, si può avere la ricchezza, si può avere la gloria, ma non essersi ritrovati perché il ritrovarsi è una cosa diversa. Il ritrovarsi è la piena rispondenza tra il sé e gli altri, tra sé e il mondo che è intorno, tra sé e la vita che si svolge, la propria vita che si svolge. È la perfetta coincidenza tra le istanze profonde di voi stessi e la realizzazione di queste istanze. Voi potete ritrovarvi soltanto a condizione di saper scavare dentro di voi. Ma quando voi non vi ritrovate, il che accade quasi sempre, la vostra vita è infelice anche se possedete la gloria, la potenza, la ricchezza, perché dentro di voi resterà sempre una perenne insoddisfazione: vorreste sempre essere qualcun’altro, possedere qualcos’altro, vorreste trovarvi in un luogo diverso, in un ambiente diverso, con una vocazione diversa, con un lavoro diverso; e sentite dentro di voi che la vostra vita è un adattamento e che avreste voluto fare qualcos’altro.

Che cosa significa questo? Significa che la vostra vita è stata sbagliata, significa che veramente dentro, non vi siete ritrovati. E questa è un’infelicità, questa è una pena. Perché quando voi vi ritrovate su una strada sbagliata incontrate la sofferenza e l’incontrate perché siete mal disposti, su questa strada non pienamente vostra, ad accettare un piccolo incontro spiacevole. Cioè non siete, per vocazione, disposti ad accettare niente. Tutto questo avviene nel vostro inconscio, però, e vi crea una sofferenza continua. Quando invece veramente la vostra vocazione è stata riconosciuta, quando veramente voi ritrovate la vostra vita e la svolgete e siete contenti perché avete pienamente realizzato i problemi inconsci, i desideri, i bisogni che sono dentro di voi, ebbene, credetemi (e chi è riuscito a trovare questa strada può confermarlo), voi potete avere delusioni, incontri spiacevoli, ostacoli gravi, ma riuscirete a superarli, e questi ostacoli gravi non vi disturberanno al punto da far deviare la vostra vita perché, se per un momento l’ostacolo è grande, troverete mille ragioni per aggirarlo e andare oltre; perché è la vostra strada e niente può impedirvi di percorrerla. Ma quando voi invece sbagliate in partenza, pretendete cose che la vita non può darvi.

In questa situazione lo Spirito cosa può fare? Lo Spirito crea un compromesso con la vita. A quel punto lo Spirito potrebbe anche andarsene, naturalmente. In genere non lo fa, perché trova la possibilità di crearsi un adattamento, ma si tratta sempre, appunto, di un adattamento. Il programma dello Spirito per metà viene a essere annullato o modificato, e in voi, durante tutta la vostra vita, c’è una perenne confusione, una condizione larvata d’insoddisfazione che non si può evitare in nessun modo. È felice soltanto chi ritrova se stesso, altrimenti no, si tratta di pseudo-felicità. Poi, un poco alla volta, guardandosi indietro, ci si accorge dell’inutilità della propria vita. E questo è grave, naturalmente. E dunque, se, un consiglio si dovesse dare all’uomo, gli si dovrebbe dire: analizza te stesso, scopri veramente ciò che puoi: allora qualunque cosa sia, essa è giusta, è buona, perché è tua. Puoi sbagliare, ma è un tuo errore, che viene dal tuo Spirito. Puoi far bene e sarà la stessa cosa, ma vai solo per la tua strada, perché sei venuto in Terra come essere spirituale per vivere la tua vita e non la vita della collettività. Se ti trovi in una collettività devi accettarla perché non ne puoi fare a meno, ma la tua vita è una vita singola, non mescolarla a quella degli altri, perlomeno non oltre un formale rispetto della libertà altrui. Non oltre questo limite, perché se superi questo limite la tua vita diventa un suicidio, anche se continui a vivere, perché chi annulla la propria vocazione, la propria tendenza e il programma che è nello Spirito, è un essere che si è suicidato, perché ha ucciso la ragione, le motivazioni per cui è venuto in Terra. E anche se continua a vivere, la sua sarà una mezza vita, sarà una vita non buona, non bella, non felice. Dovrebbe a quel punto soltanto reputarsi contento di possedere un’intelligenza mediocre perché solo un’intelligenza mediocre potrebbe salvarlo da una crisi, ma colui che ha invece un gran talento o una grande sensibilità, guai se giunge al punto da riconoscere il fallimento della propria esistenza.

Ora, tutto questo può sembrare teorico, in realtà fa parte di vita vera e di vita pratica. Finché siete in tempo e siete esseri vivi, riconoscete le vostre tracce primarie: potete farlo. Ciascuno di voi può farlo, e una volta riconosciutele non abbia paura, cerchi di adeguarsi a questo riconoscimento di matrice, perché che conta il resto? Siete in Terra per vivere una vita che è breve, in fondo. La vostra vita che dura 50, 70 o 80 anni, non rappresenta niente. Dissi una volta: non ve ne accorgete, diventate vecchi ogni giorno di più e ogni giorno di più vi avvicinate al traguardo della vita, ma il traguardo non è sempre una vittoria, molte volte è un trascinarsi sulle ginocchia; e allora vuol dire che non siete stati dei buoni atleti, che non avete avuto una vita attenta e vigile. E finché siete in tempo raddrizzatela, la vostra esistenza.

Ma, vedete, io do ancora un ulteriore consiglio molto pratico. Non direi neppure di far questo in funzione di un’altra vita: è per la vostra vita che io dico questo, perché l’infelicità che potete avere, l’insoddisfazione, riguardano la vostra vita. Anche se voi non credete in un’altra esistenza, anche se voi non l’accettate, oppure se avete dei dubbi, quello che io vi sto dicendo serve per la vostra vita di uomini, ora. Dunque, anche se voi non accettate l’esistenza dello Spirito, non potete disconoscere che la vita così come la vivete non è nient’altro che un’inutile passeggiata su questa Terra, senza senso, senza significato. Qualificate la vita e finirete con lo stare meglio, per la verità.

Lo Spirito cerca una qualificazione spirituale, per questo è in Terra. Egli non avrebbe alcun interesse a venire sulla Terra se non supponesse di dover trarre da essa alcuni elementi di qualificazione, alcune esperienze valide: non vi sarebbe proprio alcuna ragione. Vorrei, però, a questo punto, lasciar parlare soprattutto i nuovi.

D. – Questo discorso lo hai fatto già altre volte. Hai detto molte volte che noi sciupiamo la vita, ed è vero, l’ottanta o forse anche il novanta per cento delle nostre azioni, non interessa lo Spirito, però voglio dire questo: il problema della qualificazione delle azioni e il problema di ritrovare sé stessi è un problema estremamente complesso. L’uomo, almeno quello dotato di una media intelligenza, si pone un obbiettivo anche sociale da raggiungere, che poi non lo realizzi non è molto importante, ma è proprio nel raggiungimento di questo obbiettivo che sorgono elementi di angoscia…

A. – Sì, ma il fatto è che spesso l’obbiettivo sociale è un obbiettivo sbagliato. A voler fare degli esempi a livello pratico, posso dire che accade che già i fanciulli vengano indirizzati verso professioni per le quali sovente non hanno alcuna vocazione. Cioè, proprio in partenza il fanciullo affronta una serie di studi che può non essergli congeniale, senza naturalmente tener conto che può darsi che non gli sia proprio congeniale lo studiare, ma che gli sia congeniale fare un’altra cosa. Cioè esiste già una forzatura di partenza, per cui già se ci sono certi segni, certi indirizzi, certe vocazioni, essi vengono completamente annientati, completamente distrutti da tutto un sistema educativo che finisce con l’essere controproducente a questi fini. È vero, lo Spirito può avere un programma per cui gli necessita fare sulla Terra anche un certo lavoro, poniamo, un certo mestiere o, più che altro, tutta una serie di attività attraverso le quali gli è più facile fare certe esperienze. Orbene, questo fanciullo cresce invece già condizionato, con la personalità completamente distrutta. Perché, non dimentichiamolo, la personalità in genere si tenta di imporla, e il fanciullo viene così a ritrovarsi una personalità che non è la sua, ma è quella che, per suggestione, gli viene ammannita dal momento in cui apre gli occhi, e quindi egli si abitua a crearsi un tipo di psiche che non sorge spontanea dalla sua osservazione, ma che gli viene imposta dal di fuori. Questo è già un camuffamento gravissimo, naturalmente, per cui è chiaro che, giunto in età adulta, è probabile che egli non riesca più a capir niente della sua vocazione, mentre avverte solo un senso di angoscia, una disperazione profonda, oppure soltanto un’insoddisfazione, senza sapere di dove venga. Ed è logico che non possa più farlo.

E allora che cosa occorre a questo punto? Occorre, anzitutto studiare veramente il fanciullo, studiarlo in maniera da creare un’impostazione, un metodo affinché la sua psiche si sviluppi conformemente ai suoi istinti naturali, alle sue tendenze naturali. Non mi direte che questo sia molto difficile, diciamo che offre le difficoltà di una qualsiasi indagine, ma è una difficoltà che varrebbe la pena di affrontare, a mio avviso. Cioè, questa è veramente una cosa seria, non è una cosa superflua da aggiungere, è una cosa seria perché si tratta della vita di un uomo e dell’esperienza di uno Spirito. È estremamente difficile, ma non è impossibile.

D. – La cosa più difficile è proprio distruggere o annullare in parte i fortissimi condizionamenti dell’esistenza, a livello sociale generale e a livello di famiglia.

A. – Praticamente, quando nasce un bambino i genitori già sanno che cosa vogliono farne, senza minimamente preoccuparsi di lui, ma preoccupandosi soltanto di sé stessi. È un discorso antico quello dei genitori i quali già stabiliscono il lavoro che dovrà fare il figlio, in tempi passati addirittura gli si preparava anche la sposa, o lo sposo, quindi è chiaro che ne è venuta fuori un’umanità angosciata. Sul piano genetico tutto questo si ripercuote poi in senso negativo. Ma anche prescindendo da ciò, direi che anche nel vostro tempo attuale, questo metodo è ancora vigente, ancora esistente, sia pure attutito.

Ora, il problema è diverso da quello da cui siamo partiti, ma è un problema complementare, integrabile. Se non si riparte dal ragazzo è impossibile educare l’umanità, è assolutamente impossibile.

Vedete, voi potete creare le leggi, potete imporle con la dittatura, potete distruggere certe libertà e imporre altre pseudo-libertà, e dire: bene, per duecento anni costringiamo l’umanità a vivere secondo queste buone norme morali e coloro che le contraddicono li uccidiamo. Ciò, tanto per accennare a una cosa assurda, ma anche così sarebbe sbagliato. Le leggi non modificano niente, le leggi sono indifferentemente buone o cattive, sono soltanto gli uomini che contano. Quando si riuscirà a capire questo, cambieranno molte cose. Gli uomini che sono ladri oppure onesti, che sono generosi oppure egoisti, che perdonano o che si vendicano, che sono tolleranti oppure che non lo sono, che hanno pietà oppure odio… Sono gli uomini che rendono buona una società, che la rendono accogliente, giusta, che possono risanare l’economia del mondo, che possono tutelare e rispettare il prossimo, e far sì che le leggi stesse non vengano applicate, perché le leggi sono sempre repressive, punitive, e sono fatte per gli uomini non giusti. Ecco dunque che è un circolo chiuso…

D. – Ma, a prescindere dal condizionamento dell’ambiente, io parlo della vita individuale di ognuno di noi. Tu, Maestro, dici che sciupiamo la vita ma, a un certo punto, che cosa riesce a qualificare ogni azione della vita? Cioè, per ogni nostra azione dobbiamo rendere conto di quello che abbiamo fatto per il prossimo?

A. – No, vedi, non è questo. Io non chiedo affatto una cosa del genere, sarei troppo lontano dalla verità se dicessi, pretendessi o suggerissi una cosa che è anche assurda, diciamolo pure, assurda per voi. Io non dico affatto che voi, quando compite una certa azione o fate un certo lavoro, vi rivolgiate quindi a Dio, o a voi stessi per giudicarla, no, non è questo il punto. Io dico semplicemente questo: quando dovete fare una cosa, oppure dovete scegliere, decidere o progettare un periodo della vostra vita, ebbene, non fatelo a livello istintivo, ma fatelo a livello meditativo, capendo perché lo fate, a che serve, e in che maniera la cosa, il gesto o l’azione, possono migliorare la vostra maturità e aggiungere esperienza a esperienza. Poi non importa quale sarà la risposta, cioè non importa quello che andrete a fare; è importante soltanto che, facendola la cosa, buona o cattiva che sia, essa passi attraverso il vaglio della vostra autocritica. E facendo così che l’azione travalica la coscienza e va nell’inconscio e ha la possibilità, quando il problema è congeniale a esso di giungere all’inconscio e di passare allo Spirito (Nota GdS: L’inconscio – non il subconscio – come elemento principale di filtro e stimolo tra lo Spirito e la coscienza umana. – vedere “Rapporto dalla Dimensione X, Ed. Mediterranee, Roma.).

È soltanto questo che noi chiediamo: qualificare le vostre azioni a livello meditativo. Siete qui perché state facendo una certa cosa: a che serve? A chi serve? In che maniera può diventare un’esperienza? Già riflettendo così, la cosa diventa un’esperienza. È questo, solo questo. Naturalmente io non dico di farlo in ogni momento della giornata, anche perché non credo affatto che in ogni momento voi facciate delle cose tanto importanti, ma fatelo per grandi linee, per cose di un certo valore, di una certa importanza. Vedete, ragionando così, sapendo in partenza che questo tipo di ragionamento serve allo Spirito, la cosa cambia, è diversa, non è più fine a sé stessa. Cioè, fate conto che dentro di voi ci sia una persona che deve sentire le cose che dovete fare e che questa persona sia

un po’ sorda, che non “senta” bene, e allora voi le spiegate di che si tratta, lo spiegate al vostro Spirito. Se voi sapete di avere uno Spirito, dovete allora spiegargli le cose che fate, dovete giustificarle al vostro Spirito, che poi è il vostro stesso io, naturalmente. Ma in questo gioco, un poco a rimpiattino tra voi e voi stessi, finite col raggiungere lo scopo. È un accorgimento, direi, un piccolo gioco dentro di voi. In fondo è così.

Avere coscienza che il messaggio raggiunge lo Spirito, che deve, può o dovrebbe raggiungere lo Spirito: basta questa coscienza. Non è necessario né fare invocazioni, né mettersi a pregare, né dire altre cose inutili del genere. È semplicemente un’attenzione a livello meditativo, e la coscienza che uno Spirito, il vostro essere spirituale, deve ascoltarvi. Lasciate poi perdere che questo “ascoltare” gli servirà per l’altro mondo, lasciate da parte questo problema, lasciatelo proprio da parte, questo problema!…

D. – Ma ci possono essere differenze di valore tra la scelta istintiva e la scelta intuitiva, meditativa? Cioè, ci possono essere elementi validi nella scelta intuitiva e, naturalmente, riconosco la difficoltà di distinguere tra istinto e intuizione.

A. – No. Non direi nemmeno questo. Forse si potrebbe anche configurare per definizione l’uno e l’altra. Ma dico, comunque, che anche la scelta istintiva o intuitiva, appunto perché tale, deve passare attraverso il vaglio della critica interiore. Perché è pur vero che molte volte il messaggio è esatto e preciso, e cioè a dire che, seguendo l’istinto, l’individuo fa bene. Vi sono molti casi del genere, anche a livello materiale. Ma seguire l’istinto è sempre pericoloso. Perché difficilmente sapete riconoscere l’istinto puro, e anche l’intuizione è difficile dire se sia esatta o no. Può essere soltanto una suggestione. Voi ritenete che sia intuizione e in realtà non lo è, e può essere soltanto il suggerimento interessato del subconscio, per esempio. Quindi vi sono molte cose che si potrebbero dire. Il subconscio, per esempio, è interessato a compiere gesti e cose che la vostra coscienza rifiuta perché esiste una censura. Voi, istintivamente vorreste, tutti quanti, fare cose che normalmente non fate e che non avete mai fatto, appunto per l’esistenza della censura morale, dei tabù, dell’educazione ricevuta, del tipo di società in cui vivete. Sono tutti impedimenti che vi impediscono di vivere la vostra esistenza genuina, per cui a livello subconscio voi avete tutta una serie di bisogni, di desideri, di necessità che non riconoscete neppure e che si muovono appunto a quel livello. In ogni caso, seguire questo istinto non sempre può andar bene. Io considero invece tutta una modifica della personalità, che va fatta. Non dico cioè affatto che voi dobbiate seguire l’istinto perché è quello più naturale ed è quello che farebbe parte della vostra vocazione, no, il discorso, in altri termini, non è questo. (Nota GdS. – Su questo argomento pubblicheremo più ampie e circostanziate comunicazioni – I rapporti tra Spirito, anima, psiche e cervello).

D. – A volte può sembrare che una persona abbia due, tre vocazioni. Per esempio: per la poesia, per le scienze mediche o le scienze economiche. In questo caso qual è la strada giusta, come si fa a riconoscere quale è la vera, l’autentica?

A. – Vorrei chiarire subito che, per vocazione, non s’intende semplicemente una sola linea di condotta o di scelta, ma sovente un gruppo di scelte. Cioè, in pratica, ciascuno di voi ha, come dire, un istinto fondamentale, che poi sarebbe la sua tendenza fondamentale, la quale però si articola con diverse possibilità. Queste diverse possibilità offrono una gamma di scelta, non molto vasta per la verità, per cui può verificarsi il caso di una persona la quale abbia vocazione per le scienze, per la fisica, per la matematica e che poi sia anche un poeta: questo può verificarsi. Non è che io vi creda molto, tuttavia. In genere l’una supera l’altra. Per quanto riguarda l’arte il discorso è un po’ diverso, però sono disposto senz’altro ad ammettere che possa coesistere l’una e l’altra cosa. E perché? Perché quando parliamo di scienze esatte, o più o meno esatte, quali la matematica, la fisica, le discipline scientifiche in genere, dobbiamo pensare che sono in genere discipline meditative, in fondo, come del resto anche la filosofia. Sono discipline in cui veramente la mente non è soltanto imprigionata in una serie di studi fissi e rigorosi, ma può, entro questi studi, possedere un margine di libertà, quale è appunto quella della speculazione filosofica nell’ambito della matematica. E dunque il passo è breve tra tutto questo e la poesia. Cioè, può essere possibile che un essere così concepito strutturalmente, in senso mentale, possa essere anche un poeta. Però io non so se siano esistiti grandi matematici che siano stati anche grandi poeti. In genere, se teoricamente è possibile, praticamente non si verifica. Bisognerebbe poi fare un discorso a parte. La poesia la sanno fare tutti, ma ciò non significa essere poeti, anche qui il discorso si complica. Cioè, perché questo discorso sia valido si dovrebbe poter dire: si può essere grandi matematici e autentici poeti, grandi fisici e autentici poeti? E allora, di fronte a questa domanda precisa, io sarei perplesso. Tuttavia, devo dire che teoricamente il discorso regge. Teoricamente io non vi vedrei una grave difficoltà.

D. – Ma a parte questo, Maestro, di grandi scienziati, in particolare nel nostro paese, ce n’è stato uno, Galilei, il quale vòlto a problemi rigorosamente scientifici è riuscito a transfondere nei suoi scritti il senso di armonia che aveva captato nelle sue scoperte che riflettevano l’equilibrio universale. In questo senso c’era qualche cosa che andava oltre la poesia normalmente considerata, che si trasferiva a un livello veramente diverso. e anche Platone…

A. – Sì, la capacità di poter trasferire un linguaggio scientifico in un linguaggio non scientifico, ma divulgativo, con una certa nobiltà letteraria, questa è una cosa che si può accettare senz’altro.

Però i casi citati non sono esemplificativi rispetto alla domanda. Galilei non fu certo uno scrittore ma, prevalentemente, uno scienziato. e anche Platone fu prevalentemente un filosofo e non fu certo uno scrittore. Cioè, la vocazione primaria per l’uno era di essere uno scienziato e per l’altro di essere un filosofo.

D. – Uno Spirito incarnato molto evoluto ha la coscienza della sua evoluzione?

A. – Nessuno ha coscienza in Terra di quello che è. Può accorgersene studiando se stesso, ma la coscienza esatta di sé non si ha.

D. – Dato che la Terra ha una certa base di evoluzione e certi condizionamenti ben stabiliti, per cui la maggioranza delle entità che si incarnano sono di una certa evoluzione non molto elevata, è chiaro che la manifestazione umana è proporzionata a questo livello medio e quindi che i tuoi consigli possono essere percepiti solo da chi ha una certa preparazione.

A. – C’è anche un’altra cosa da dire, però, ed è che voi manifestate sempre delle qualità nettamente inferiori a quelle del vostro Spirito. Quindi, in pratica, tutti voi potreste notevolmente migliorare. Il vostro Spirito è migliore della vostra mente, della vostra personalità umana. Poi si creano delle sfasature tra Spirito e corpo. È chiaro che siete un po’ condizionati da tutto questo e che esiste questa proporzione. D’altra parte è logico che sia anche così. Ma è anche vero che questa proporzionalità può essere ritoccata, modificata dal mutamento di certe strutture, di certi rapporti, proprio nel momento in cui questo Spirito nasce, quando si manifesta nel corpo e viene subito inglobato in un sistema più o meno sbagliato.

D. – È possibile che, da un certo livello in poi, ci sia una maggiore e migliore possibilità di registrazione dell’esperienza terrena rispetto al proprio livello spirituale.

A. – Migliorando l’evoluzione dello Spirito, migliorerebbe anche la possibilità di recepire certe esperienze. È questo che vuoi dire?

D. – Non proprio. Cioè, c’è una soglia critica, un livello critico, al disotto del quale questa registrazione non è possibile farla, perché non esiste neanche la lontana possibilità di percepire una possibilità del genere? Esiste invece, un punto evolutivo al di sopra del quale è possibile questa registrazione? Cioè, raddrizzare il programma da incarnato per farlo collimare meglio con il programma spirituale?

A. – La possibilità del raddrizzamento esiste. Io però direi da un certo grado in poi, francamente. Come dicevo all’inizio, lo Spirito avrebbe la possibilità di andarsene, quando il programma non si realizza e, sopravverrebbe così la morte, ma in realtà questo non si verifica e si crea un adattamento. Ora questo adattamento avviene da un certo grado di evoluzione in poi? Sì. Direi di sì. Perché ai più bassi livelli di evoluzione non importa granché quello che accade. A quel livello lo Spirito, purché faccia una serie di esperienze che poi vaglierà, valuterà, ne trarrà comunque un’utilità in qualunque modo si svolgano.

D. – Cosa intendi dire quando dici che certe esperienze sono drammatiche?

A. – Vedete, io vi parlo come un essere il quale è venuto molte volte sulla Terra. Ho visto e ho incontrato migliaia e migliaia di esseri umani, ho avuto l’occasione di svolgere esperienze molteplici: complesse, dolorose, pesanti, lievi, e dunque ho potuto vedere, misurare, appena lasciata la vita, del tanto poco che spesso mi sono portato dietro in confronto alle tante possibilità che la vita mi aveva offerto, e non c’è niente di più spiacevole, di più angoscioso, di più doloroso, di quello che si prova quando si guarda la propria vita trascorsa e ci si accorge di averla sprecata.

Voi ne sprecate già parecchia di vita, diciamo pure semplicemente dormendo e riposando, per cui la vostra bella vita di 80 anni si riduce già a una vita di 40 o 50 anni. Se voi fate questo calcolo allora il fatto diventa drammatico, perché se fate un calcolo preciso e sottraete tutte le ore in cui non fate assolutamente niente, perché dormite o perché mangiate, perché riposate o perché siete distratti da cose assolutamente futili, ebbene veramente la vostra vita diventa niente.

Naturalmente la vita di un uomo non può essere una vita di continuo lavoro, riposare 6 o 8 ore, e tutte le altre ore lottare, meditare, perché un uomo non può resistere a un ritmo del genere e neppure vi chiederemo tanto, ma noi vi chiederemo soltanto una cosa che, appunto, gli uomini non fanno mai. Anche quando fate le cose futili e inutili, diciamo pure le cose che vi portano soltanto un piacere fisico, esteriore, visivo, auditivo; anche quando fate queste cose, ogni tanto riflettete su di esse, sulla loro utilità, sulla loro validità, fate risuonare dentro il vostro Spirito anche le cose che sembrano futili. In questa maniera voi lo arricchite, questo Spirito. Cioè, noi non vi diciamo: lavorate tante ore su 24, sempre meditando, sempre pensando allo Spirito, sempre pensando a Dio, no, niente affatto! Francamente vi dico che una vita del genere non la farei neppure io. Ma quello che io dico è diverso: dico semplicemente di aprire l’orecchio dello Spirito, e una volta che avete avviato questo tipo di discorso esso diventerà automatico e dentro di voi sorgerà spontanea la riflessione.

Io ne ho avute di vite sprecate e, naturalmente, ho capito che è davvero peccato (Qui il termine non va ovviamente inteso in senso religioso. – Nota del curatore.) possedere una vita, riceverla, inserirsi in questo circuito dell’esistenza umana e poi tornarsene un’altra volta qui, con poche cose smarrite, senza senso, senza che siano collegate, e cioè con una struttura quasi vuota come quando siamo venuti, e allora ciò diventa spiacevole. Dunque, fate semplicemente attenzione, fate una vita più attenta, meditate. Poi, ve l’ho detto una volta, voi non dovete stare a pensare continuamente a Dio o all’altra vita, sono cose che in questo momento non v’interessano in modo particolare: modificate prima voi stessi, così, se avrete tempo, penserete a Dio. Chi ne ha la necessità e pensa a Dio si troverà ancor meglio, ma chi non ha l’idea di Dio e non sente di pensarci non può sforzarsi a fare una cosa che non sente, e in ogni caso avrete il tempo di pensarci dopo; quando sarete Spiriti penserete all’aldilà, ora che siete in Terra pensate alla Terra (Nota GdS.È notevole, nuovo e – direi – significativo, questo tentativo, questo sforzo, fatto dall’Entità Andrea di far progredire comunque gli uomini, anche se – sul piano logico – i due problemi – quello della sopravvivenza e quello dell’uso della vita – sono strettamente connessi.). Però dal momento che chi crede sa che ci sarà un’altra vita, io dico anche, semplicemente di prepararsi a essa in questa maniera: facendo confluire nel vostro Spirito quanto più è possibile, per dargli più forza.

Tutto questo sulla Terra si chiama saggezza. Saggio è colui che, avendo capito tutto questo, ha lungamente meditato sulla propria esistenza e sulle vicende del mondo, e che avendo meditato a lungo con pienezza e intensità, è diventato un saggio; la saggezza non è altro che una sommatoria di esperienze. Questo è. Voi non potete pretendere di essere saggi, di avere esperienza, e di non fare niente. Non potete pretendere di avere tutto.