D. – Abbiamo dedicato fino a oggi tre sedute alla conversazione su quel grosso argomento che riguarda i rapporti tra Spirito-anima. psiche-cervello, per illuminare maggiormente la teoria della coscienza e, in particolare, quella della coscienza umana. È rimasto aperto l’argomento sulla coscienza e l’intelligenza spirituali; cioè sulle qualità afferenti in modo proprio allo Spirito. Penso che questa sera si possa discutere su questo argomento, che è di enorme importanza.
A. – Risponderò cercando di evitare alcuni passaggi piuttosto complicati, tenendo conto della presenza di nuovi ospiti. Li approfondiremo nelle prossime volte. Intanto è giocoforza fare una premessa, sia pure generica, per quanto riguarda il problema.
In realtà lo Spirito possiede una sua autonomia, che significa anzitutto autonomia dell’intelligenza e della coscienza o del cosciente spirituale. È vero che questi attributi si potrebbero sovrapporre a quelli del cervello umano, inquantoché anche l’uomo fisico possiede queste qualità. Ciò che non bisogna dimenticare è, tuttavia, la differenza fondamentale che esiste fra l’uomo e lo Spirito, o tra questi attributi, similari almeno per definizione. Per poter capire la differenza tra l’intelligenza e, quindi, la personalità o la coscienza dello Spirito e quelle corrispondenti dell’uomo, bisognerebbe capire bene il procedimento di valutazione, di apprendimento, di interpretazione che l’uomo dà delle esperienze esterne.
Voi, quando assumete un’informazione, senza accorgervene trasmettete questa informazione a tutta una serie di meccanismi, e sono quelli che in parte abbiamo visto le altre volte. In realtà l’informazione viene elaborata a tal punto che diventa una registrazione nel cervello. Quando questa informazione richiede, sotto la spinta delle necessità, un procedimento associazionistico, che si produce all’interno del cervello, essa ritorna alla coscienza. Sicché voi, talvolta, avete la percezione del ricordo, altre volte l’informazione si presenta immediatamente alla vostra coscienza. Ma c’è un’altra cosa: voi rivolgete l’attenzione a un mondo esterno, un mondo fisico che ha certe definizioni, che definite in un certo modo e scegliete le informazioni di cui dovete impadronirvi, partendo da un istinto generale che corrisponde però, grosso modo, alla vostra qualità. In tal modo ognuno ricerca informazioni ed esperienze proporzionalmente alla cultura, all’educazione che ha ricevuto, all’ambiente sociale, storico, economico in cui vive.
Si può dire che ognuno di voi cerca le informazioni e le esperienze che corrispondono alle proprie esigenze, e vi è un’infinità di tante altre possibili esperienze alle quali non ponete neppure mente, perché non esiste lo stimolo all’interno della psiche e del cervello. L’occasione non si presenta e voi ignorate del tutto che esistono altre esperienze, e potete ignorarlo per tutta la vita. Un esempio banalissimo deriva dalle esperienze diverse che potrebbe fare un europeo rispetto a un cinese o a un persiano. Perché le modalità di vita, la società, l’ambiente storico, finiscono col produrre anche tipi di esperienze diverse e quindi di assunzione di informazioni diverse.
Cosa vuol dire questo discorso? Vuol dire che voi non potete prescindere, vivendo sulla Terra, dallo stimolare o dal ricevere una serie di esperienze storicamente adeguate e spesso di pura e semplice convenienza umana. Infatti, nel corso della vita voi apprendete anche una quantità di cose inutili e una quantità di cose che non soltanto sono inutili, ma che non risultano neppure pratiche per quanto riguarda la vita comune: ma le apprendete ugualmente. Le stesse cose utili (e intendo cose utili quelle che colpiscono la vostra esperienza e che la costituiscono), voi le assumete attraverso tutta una serie di procedimenti che sono un poco la scena che voi recitate nel corso della vita.
Voi, se dovete apprendere qualcosa, se dovete fare qualcosa, dovete assumere un ruolo di recitazione, ed è la recita che v’impongono la società, la vita, l’educazione, i rapporti umani, il galateo, o tutta una serie di fatti e di cose non strettamente pertinenti alla domanda.
Per ottenere una risposta siete costretti a giocare con la vita, a giocare con i vostri simili e con la società, a imporvi, cioè, tutto un corredo di entrate e di uscite, per così dire, da questo teatro che è la vostra esistenza e il vostro mondo, il tutto condizionato dall’epoca storica, perché le modalità di questo scenario della vita sono oggi da voi così; cento anni fa erano diverse, e duemila anni fa di più.
Lo Spirito non recita, ed ecco che immediatamente egli diventa qualcos’altro. Diventa qualcos’altro nella misura e nel momento stesso in cui, pure assumendo esperienze, le assume con una modalità del tutto diversa. Anzitutto, lo Spirito non ha un ambiente sociale, come lo definite voi, e pure avendo un ambiente spirituale, cioè a dire fatto di esseri simili, questi non sono organizzati così come siete organizzati voi.
L’assunzione dell’esperienza non necessita di un particolare gioco, finzione o ipocrisia, o convenienza culturale o meno, e questo è più importante, ma l’esperienza viene assunta direttamente, perché lo Spirito ha la possibilità di raggiungere immediatamente il nucleo dell’esperienza, di impadronirsene e di elaborarlo, o di rielaborarlo con esperienze che già possiede; ma in ogni caso non segue la via indiretta, quale è quella che seguite voi, ma la via diretta.
L’intelligenza dello Spirito, dunque, è un’intelligenza la quale non si muove assolutamente in meandri esterni, quale l’ambiente esterno imporrebbe, ma si muove secondo un’intenzione interiore. Vale a dire che lo Spirito ricerca e ritrova esclusivamente in se stesso gli elementi che possono giovargli per l’assunzione di esperienze successive, che noi definiamo conoscenze successive, perché, in realtà, “esperienza” è un termine che implica lotta, implica una fatica da parte di chi quella esperienza non possiede; essa si trasforma, cioè a dire in una nozione ma, in realtà, diventa qualcosa che si aggiunge al patrimonio interiore e, secondo questa misura, non esistono esperienze basse o alte, positive o negative: tutte le esperienze sono ugualmente positive, perché tutte, anche quelle che considerate le più abbiette, aggiungono sempre qualcosa alla personalità, perché trasformano questa personalità in qualcosa di più che è dato dall’assommarsi dell’esperienza stessa.
Lo Spirito, quando vive a contatto col corpo, assume poco, per la verità, rispetto a quando è in assoluta libertà, perché il corpo non si presta a esperienze complicate dal punto di vista spirituale e, in realtà, l’esperienza umana genericamente si può dividere in due grossi gruppi; fare azioni positive o fare azioni negative: non sembra ci siano alternative. Fare qualcosa di positivo può significare trasformare qualunque esperienza in qualcosa di utile: cioè a dire capire l’esperienza a qualsiasi livello. Negativo è non capirla affatto, subirla semplicemente e, dunque, quando io ho detto esperienza positiva o negativa non mi riferivo al male e al bene, naturalmente, perché male è da considerarsi soprattutto il ricevere l’esperienza senza maturarla dentro di sé, qualunque sia l’esperienza, cioè senza trasformarla in un dato conoscitivo, mentre è comunque bene trasferire dentro di sé, qualunque sia il tipo, l’esperienza e rielaborarla, e valutarla, e interpretarla secondo la propria intelligenza. Lo Spirito non segue questo procedimento perché lo Spirito non ha anzitutto una zona d’impatto, d’incontro come voi l’avete con la materia, e come lo Spirito ce l’ha nel momento in cui viene sulla Terra.
Lo Spirito procede semplicemente a una scoperta della realtà: la realtà che è intorno a lui e quella che è dentro di lui. Questa scoperta può costare un’elaborazione che potremmo interpretare come il lavoro dello Spirito e, in realtà, egli usa la propria intelligenza spirituale per interpretare, per capire, per penetrare questa realtà esterna. La penetrazione dipende dalla sua evoluzione e dalla maniera come usa la propria intelligenza, la quale, ripeto ancora, è un’intelligenza che non si muove nelle strutture di una cultura qualsiasi, ma soltanto nelle strutture di una conoscenza fatta di idee semplici.
La cultura dello Spirito è la cultura delle idee, è la ricchezza delle idee, mentre la cultura dello Spirito incarnato, e quindi dell’uomo, è una cultura di tipo umano, tutta particolare, fatta di esperienze o di cultura propriamente detta, ma in ogni caso ancorata a quella che è la necessità della vita umana. Libero da queste necessità, lo Spirito si muove con un’autonomia che gli deriva dal suo istinto, dalla sua ragione spirituale, e non ha bisogno di alcuna sovrastruttura di tipo umano o di tipo pseudo-culturale, perché tutto ciò non esiste più nel suo mondo.
Ora, dunque, mi sembra che la questione si riduca notevolmente, considerando il problema in questi semplicissimi termini. Lo Spirito possiede un’intelligenza, la quale, nel momento in cui s’incarna, appare soltanto a un livello estremamente rarefatto della vostra vita comune. Quel tipo di coscienza spirituale, quel tipo di esemplarità, di giustizia, di capacità spirituale, che è dentro di voi e che scatta in certi momenti., è un riflesso, una partecipazione o compartecipazione, dell’intelligenza spirituale, la quale è una cosa molto diversa dall’intelligenza razionale di tipo psichico. L’intelligenza razionale di tipo psichico vi porta a delle valutazioni occasionali o, come dire, di comodo, perché voi valutate in base al grande principio dell’egoismo umano e questo è anche, direi, un suggerimento di ordine biologico, mentre l’intelligenza di tipo spirituale, quella che si manifesta nella profondità del vostro essere, rispetto all’intelligenza materiale ha un carattere di irrazionalità, perché non si basa più sul momento storico contingente, non si basa più su elementi pseudo-culturali o pseudo-sociali, o economici, ma trae la sua direzione unicamente dalla propria matrice spirituale, la quale diventa una caratteristica indipendente dalla struttura materiale.
Voi, infatti, avete un’esigenza, talvolta, che è soltanto di fondo, istintiva e non ragionevole, diciamo pure, la quale può portarvi a compiere delle azioni irrazionali che hanno tuttavia una significazione spirituale, oppure a darvi una valutazione d’un evento già compiuto che non è strettamente biologica o psicologica, ma che è razionale nella misura stessa in cui si pone in antagonismo con quella che dovrebbe essere la norma biologica della vita. Perché – non dimenticatelo! – la norma biologica vi porterebbe esclusivamente a vivere un’esistenza autonoma, fine a se stessa: vita per vita, egoismo per egoismo.
Se questo non si verifica nell’uomo è perché l’uomo possiede quella stimolazione la quale provvede a creare questi dispositivi, che chiameremo d’irrazionalità, nel campo umano, e che sono il suggerimento più profondo dello Spirito.
L’animale non ha tutto questo. L’animale effettivamente si muove soltanto secondo un’esigenza biologica, e non potete trovare nell’animale alcuna libertà o fantasia nell’ambito di questa manifestazione biologica perché manca lo stimolo alternante, cioè a dire manca proprio questa stimolazione spirituale. Nell’essere umano tuttavia questa stimolazione è debole. È debole e, direi anzi, è debolissima perché si manifesta, è vero, in quasi tutti gli esseri umani, ma incontra una resistenza “passiva”.
La resistenza “passiva” è il raggruppamento di tutta una serie di stimoli che, lungo l’arco di generazioni, hanno creato un condizionamento di fondo nella psiche e nel cervello. Il condizionamento di fondo, tuttavia, trae la sua origine dalla natura della cellula, la quale è di per sé egoista, diciamo, in termini filosofici; cioè a dire tende alla propria sopravvivenza. Il corpo umano tende alla conservazione di se stesso e questo è un fenomeno biologico dal quale non si può prescindere e, dunque, questa stimolazione spirituale, tuttavia, a lungo andare ha creato un’interferenza in questo atteggiamento cerebrale della razza.
L’interferenza ha almeno raggiunto il risultato di rendervi perplessi, cioè a dire ha stimolato in altri tempi, con termine sociale, quello che è il cosiddetto moralismo umano, e voi vi siete creati delle giustificazioni, delle inibizioni di carattere pseudo-moralistico, sotto la spinta indiretta dello Spirito. Ma non potendo lo Spirito qualificarsi nell’ambito umano, il messaggio è stato filtrato da generazione a generazione ed è diventato, direi, l’occasione di una moralità di tipo umano che non corrisponde ovviamente alla vera e autentica morale, ma che è tuttavia soltanto l’ombra di questa moralità, che però è stata sufficiente per organizzare lentamente la società in un certo modo e non a somiglianza dell’animale, ma secondo la concezione un po’ più lata di una pseudo-civiltà intellettuale.
Nonostante questo la domanda dello Spirito è molto diversa ed essa si manifesta a livello irrazionale, e quando appare crea in voi quello che potreste chiamare il pentimento, oppure il desiderio di altro, da non confondersi con altri condizionamenti di carattere psichico, che non hanno niente a che fare con la moralità.
Dunque, lo Spirito libero dal corpo si ritrova con una intelligenza e una capacità di coscienza che non sono più somiglianti a quelle dell’uomo, ma che sono completamente diverse, e quest’autonomia è un’autonomia che deriva allo Spirito direttamente da Dio, essendo lo Spirito un’indiretta creazione, essendo lo Spirito qualitativamente e strutturalmente simile alla sostanza divina.
Da ciò gli deriva, per logica conseguenza, la serie di attribuzioni che possiede: prima di tutto l’essere una realtà, possedere una individualità, caratterizzarsi in una personalità e, dunque, possedere anche le qualità di queste sintesi, cioè a dire l’intelligenza, la volontà e lo stimolo a divenire, che è uno stimolo eterno e che gli deriva dalla sua stessa struttura. E questo mi pare che, in brevissima sintesi, si possa dire sulla domanda sulla quale è stata aperta la discussione”.
D. – Vorrei precisare bene una cosa. Quando parliamo di razionalità, parliamo di razionalità del comportamento a livello umano, evidentemente, che ha per contropartita un’estrema assoluta razionalità dello Spirito per quanto riguarda…
A. – Naturalmente, il quale segue una sua logica, di un ordine che non è umano ma che, tuttavia, è un ordine perfettissimo, intendiamoci bene. È irrazionalità rispetto all’uomo, ma mai rispetto allo Spirito.
D. – Quindi, evidentemente, l’intelligenza, anche la più alta che si possa avere sulla Terra, è sempre un’espressione deviata, alterata. Alterata proprio dalla contingenza storica e culturale, rispetto a quella autentica dello Spirito. A parte che essa è comunque dosata in modo proporzionale alla sua evoluzione.
A. – Si, tuttavia essa non è strettamente legata all’evoluzione o al momento storico. Infatti fanno eccezione a tutto questo talune categorie umane. Non so, gli artisti, i letterati, i geni, i matematici, taluni scienziati o taluni di quelli che voi chiamate santi…
Vi sono effettivamente delle categorie le quali, in un certo senso, hanno una comunione un po’ più ampia tra lo Spirito, la mente e il cervello. Può esistere, infatti, il modo di accorciare queste distanze e rendere più intelligibile il messaggio dello Spirito, il quale non apparirà ma sembrerà partire dall’io profondo.
È la voce dello Spirito che si manifesta dentro di voi e ciò dipende, naturalmente, anche dalla vostra capacità di sapervi liberare, almeno parzialmente, dalla struttura e dalla sovrastruttura materiale per avvicinarvi al mondo dello Spirito. Cioè non si può considerare assolutamente il rapporto tra Spirito e materia un rapporto a compartimenti stagni, limitato e chiuso da una legge. No. Si deve dire che le condizioni sono quelle che sono, ma che è nella facoltà umana, per predisposizione, per vocazione, per scelta o per esercizio, di avvicinarsi e creare una comunione maggiore; in tal modo il quadro si trasforma notevolmente. Quando si diceva: “conosci te stesso”, s’intendeva esattamente questo, perché il “te stesso” in realtà, partendo dall’uomo, significava penetrare dentro di sé, ma per cogliervi qualcos’altro. E per cogliervi che cosa se non lo Spirito? Era questo un po’ il discorso e, naturalmente, conoscendo sé stessi, cioè a dire, avvicinandosi alla struttura più intima di sé stessi, l’uomo conosce Dio e l’Universo, perché l’uomo e lo Spirito, soprattutto, sono esattamente il riflesso preciso di ciò che è Dio e di ciò che è l’Universo, e questo consente, naturalmente, l’accorciamento di molte distanze con un mutamento notevole di tutti i rapporti tra Spirito, mente e cervello.
D. – Evidentemente l’intelligenza, a qualunque livello, non può sussistere che in funzione di un elemento su cui applicarsi secondo un iter logico, razionale. Cioè i tre elementi, secondo me, sono strettamente connessi tra loro.
Ora, passando dal piano umano al piano dello Spirito disincarnato, questo spostamento di valori, sia a livello di coscienza, sia a livello d’intelligenza è fortissimo. Ciò può influire su quella continuità dell’autocoscienza, della coscienza del proprio io, di cui parlavamo altre volte? Cioè, può creare delle lacune, oppure dei traumi in questa continuità, dei vuoti, dato l’ampliarsi e il mutamento totale dei punti di vista dell’intelligenza e della coscienza da uomo a Spirito?
A. – Io non direi dei “vuoti; perché pensi a dei vuoti?
D. – C’è forse solo un ingigantimento della visione, dell’intelligenza…
A. – Io direi che si sposta la dimensione, l’ottica; la messa a fuoco diventa diversa, in fondo. Tu hai detto, giustamente: l’intelligenza ha bisogno di qualcosa su cui applicarsi. In realtà l’intelligenza, per esistere, necessita di una realtà che le sia intorno. Vorrei dire che, al limite, un’intelligenza che, per esempio, si manifestasse nel niente assoluto, sarebbe difficilmente da catalogarsi come intelligenza. Vorrei dire che, non avendo, nessuna realtà intorno a sé l’intelligenza non avrebbe alcuna possibilità di manifestarsi; sarebbe un’intelligenza bloccata.
D. – Intendevo anche un’altra cosa circa l’intelligenza: che essa ha bisogno in sé di una meccanica razionale di tipo logico, quasi matematica, per esercitarsi.
D. – … e che struttura l’intelligenza stessa come moto.
A. – Naturalmente. Infatti, l’intelligenza è applicabile soltanto a una forza che possieda l’individualità e la personalità, che sia cioè un tutto armonico, che possieda idee le quali siano coerenti, e siano, comunque, idee sfruttabili da un punto di vista logico; ed ecco che dunque scatta in siffatto modo l’intelligenza, che è la maniera logica di coordinare queste idee. Nello Spirito questa intelligenza è sempre logica in maniera assoluta; per quanto riguarda il coordinamento delle idee può essere insufficiente nel manifestarsi, ma è logica quando viene ad applicarsi in maniera corretta.
D. – Quindi, centrato questo discorso sull’intelligenza dello Spirito disincarnato, evidentemente, dato che rispetto all’uomo non ci può essere una differenza, diciamo, né qualitativa né quantitativa al livello spirituale intelligente, l’unica differenza sta nelle possibilità di applicazione e quindi nella quantità di idee semplici che sono patrimonio, in quel momento, dello Spirito e che, quindi, sono in rapporto diretto con la sua evoluzione, e cioè con la sua percezione della cosa.
A. – Sì, possiamo anche dire evoluzione, per intenderci, che poi è la stessa cosa.
D. – Volevo fare un riferimento al discorso di prima. Presupposto che un artista, un santo, un genio, possano essere a maggior contatto con il proprio Spirito, ne deriva che così se ne può avvertire meglio l’evoluzione?
A. – Diciamo che può verificarsi. L’uomo aumenta notevolmente il proprio potenziale quando riesce a trarre dal profondo di se stesso certe capacità che, altrimenti, il cervello da solo non avrebbe. Cioè, proprio per questo tipo di genialità, di predisposizione, qualunque possa essere la destinazione, l’utilizzazione può essere diversa e dipende dall’evoluzione.
D. – Per quanto si riferisce allo Spirito, l’intelligenza intanto può applicarsi in quanto si deve riferire alla realtà che egli in parte conosce, ma che in parte è sconosciuta. Ora, spostando il problema, l’intelligenza di Dio su quale realtà si applica? Su se stesso?
A. – Quello dell’intelligenza di Dio è un capitolo tutto a parte della questione. Lo Spirito, in fondo, ha necessità di questa intelligenza perché è un essere in evoluzione, ed è un essere il quale cammina lungo questa evoluzione e si arricchisce di conoscenza. Dio, invece, non è soggetto a evoluzione: l’eternità di Dio non ammette un concetto di evoluzione. Dio è tutto, è sempre stato tutto. (La frase è ovviamente di senso figurativo poiché anche la definizione di “tutto” nei riguardi di Dio sarebbe limitativa, in qualche modo circoscriverebbe Dio, significherebbe cioè una delimitazione, Dio necessariamente nei riguardi del “tutto” deve essere considerato trascendente. Dio deve cioè trascendere il “tutto” in senso filosofico, anche se il concetto applicato a Dio appare del tutto improprio. – Nota del curatore.).
E, dunque, l’intelligenza di Dio è la manifestazione della perfetta organizzazione logica che tutto il patrimonio divino ha in sé; e questo patrimonio divino, eterno, infinito, senza limiti, è organizzato in una maniera perfettissima e assoluta, tale da dover necessariamente ammettersi che la modalità di organizzazione perfetta derivi da una qualità che è appunto l’intelligenza.
Questa intelligenza, dunque, non si basa sui caratteri esterni della Divinità, come per esempio la creazione, ma neppure la si può desumere da questi caratteri esterni, perché la creazione stessa è una capacità interna alla struttura divina. Dio possiede l’intelligenza al sommo grado perché questa intelligenza fa parte del proprio patrimonio.
Però io vorrei qui chiarire una cosa per non lasciare sospeso un apparente equivoco; perché noi, nel parlare di intelligenza forse vi abbiamo dato l’impressione che l’intelligenza sia qualcosa che potrebbe essere, non so, i globuli rossi nel sangue, cioè qualcosa di esterno, un quid isolato che lo Spirito si ritrova dentro come un corpo estraneo, sia pure necessario, ma comunque estraneo.
L’intelligenza non è la stessa cosa, per esempio, della memoria o della cultura. Se voi in questo momento vi mettete a leggere una parola di una lingua che non conoscete (il cinese per esempio) l’immagine di essa si fissa nel vostro cervello e si fissa in una maniera fisica, si registra; è un corpo estraneo, a rigore. Voi potete portarvelo per tutta la vita questo ricordo. Ammesso che poteste essere eterni (Intende come uomini. – Nota GdS.), diventerebbe eterno anche questo “corpo-immagine” che sarebbe però per sempre un corpo estraneo, intendiamoci bene, perché le cose non diventano “vostre” semplicemente perché vi appartengono: restano per sempre corpi estranei, sia pure vostri.
Lo Spirito possiede un’intelligenza, ma questa intelligenza non è un corpo estraneo che Dio ha dato allo Spirito. Sembra una sottigliezza, ma non lo è. Intelligenza è il carattere stesso della struttura di cui è composto lo Spirito e questo è esattamente quanto si verifica in Dio.
Noi parliamo, per ragioni dialettiche, di attributi di Dio, e diciamo intelligenza, carattere di eternità, carattere assoluto, infinito, e voi avete un po’ l’impressione che si tratti di medaglie che Dio abbia sul petto, cioè di cose che possiede e che possiede come oggetti da tenere in tasca o nella mente, il che è la stessa cosa. Invece no.
Si tratta di un corpo unico e perciò noi, parlando d’intelligenza per lo Spirito, diamo l’impressione di qualcosa di estraneo, sia pure di provenienza divina ma in realtà non si tratta di una qualità estranea, ma della qualità stessa della struttura dello Spirito. Voglio dire che se lo Spirito, nella propria struttura non possedesse questa caratteristica, non sarebbe uno Spirito e non lo diventerebbe mai, perché la differenza che c’è tra la struttura dello Spirito e la struttura dell’Universo sta proprio in questo, soltanto in questo!
L’Universo non è una cosa diversa dallo Spirito, in quanto struttura primaria, ma è tale e quale alla struttura dello Spirito; se vi è una differenza è perché la struttura dello Spirito si è mossa unitamente all’intelligenza di Dio, ed è una struttura che è intelligente perché è organizzata in siffatto modo qualitativamente e non quantitativamente; mentre la struttura universale non si è mossa secondo questo aspetto, ma si è mossa svincolata dall’intelligenza di Dio, perché è stata spinta in un’altra maniera. L’intelligenza divina si è manifestata ugualmente accanto alla struttura materiale, ma si è manifestata in maniera autonoma, cioè si è stabilizzata in legge.
Nello Spirito, invece, esiste ugualmente la legge, ma la legge non è esterna allo Spirito: è nella struttura dello Spirito ed è perciò che lo Spirito è l’unica forza esistente che si può definire manifestazione globale di Dio, cioè a dire, appunto, scintilla di Dio. Ed è per questa ragione che lo Spirito è immortale.
Questa è l’unica ragione per cui è immortale come struttura, non come sostanza, intendiamoci bene, perché anche l’Universo è immortale. La materia non muore mai, si trasforma e si trasformerà in eterno: ma non esiste la distruzione dell’Universo, esiste la sua trasformazione. Lo Spirito, invece, è l’unico essere che non è soggetto a modifiche perché la sua struttura, così com’è configurata, con i caratteri e gli attributi primari insiti qualitativamente in essa, conserva contemporaneamente tutte le altre qualità di Dio. Se Dio dunque è eterno è eterno anche lo Spirito, e non può essere diversamente; ne deriva come conseguenza logica questo procedimento dell’atto creativo da cui non si può prescindere.
D. – Maestro sono d’accordo, però non ti pare che mentre per lo Spirito l’intelligenza è un carattere intrinseco, di tipo dinamico, in Dio diventa un carattere di tipo statico?
A. – Si. Questo è un altro grosso problema, naturalmente, di cui non negherò l’importanza, di cui non si possono negare gli aspetti, si capisce. Questo è un problema che esamineremo più a fondo, e sul quale già qualche volta ci siamo intrattenuti: su quella che è la staticità, direi, della Divinità, in un certo senso. Sebbene le varianti combinatorie nell’ambito della struttura divina, siano infinite. Bisogna anche tener conto di questo, perché tu parli di staticità, ma la staticità, intendiamoci, è sempre in una dimensione infinita.
D. – Il percorso dello Spirito è infinito e quindi vedo la necessità in lui dell’intelligenza, mentre in Dio potrei non vederla.
A. – Ecco, vedi, capire questo è naturalmente molto difficile, perché tu consideri lo Spirito un essere in movimento il quale, effettivamente, avrà bisogno sempre della sua intelligenza, perché il cammino è eterno: non c’è un punto d’arrivo, non c’è una fine.
Dunque, lo Spirito ha innanzi tutto bisogno di questa intelligenza, e tu lo chiedi: ma in Dio, il quale è tutto, ha già tutto, ha creato tutto, perché Egli è infinito, eterno, perfetto; a questo punto la Sua intelligenza non si sa bene a che possa più servire, non avendo un cammino da percorrere. Ma io ti aggiungerò: non avendolo percorso mai da un punto di vista temporale, perché l’infinito non vale soltanto per i numeri positivi, ma vale pure per i numeri negativi; non esiste solo un infinitivamente grande, ma esiste anche un infinitivamente piccolo; non esiste, dunque, soltanto il futuro, diciamo di Dio, ma esiste anche il passato di Dio, se si deve parlare in questi termini un po’ assurdi, naturalmente, riferiti al concetto dell’infinito.
Ma vedi, la questione è che tocchiamo un punto molto difficile e questo punto è l’infinitezza stessa della struttura divina. L’infinitezza crea, indubbiamente, un mistero al fondo della questione, perché se è pur vero che Dio avrebbe esaurito tutto, sia pure all’infinito, perché avrebbe creato tutto, è anche vero che, nell’ambito dell’infinito, questa è una definizione assurda. Per il solo fatto di essere infinito Dio, continuerebbe il processo creativo che non potrebbe arrestarsi mai.
Questo, però, fa sorgere un grosso problema: è il problema della definizione stessa di Dio, perché, se è vero che in base a una regola infinita, a un principio infinito, la struttura divina sarebbe in eterno movimento, è anche vero per contrasto che, essendo Egli Dio, e avendo dovuto necessariamente far tutto, Egli dovrebbe star fermo.
Bisogna riconoscere un’altra cosa a Dio, e cioè che l’infinito deriva da Dio. Dio non l’ha trovato o se ne è impadronito, ma esso deriva da Dio e, d’altra parte, a Dio noi non possiamo assegnare un momento di principio. Dio non ha potuto avere inizio, deve necessariamente essere esistito sempre, e deve essere esistito sempre perché, o si accetta questo, o si nega Dio. Non si può porre assolutamente un momento d’inizio.
Il problema in se stesso diventa effettivamente complicato a risolversi. Noi stessi, d’altra parte, per quanto riguarda questa “zona” di Dio non possiamo risolverlo completamente questo problema: possiamo spiegarcelo, naturalmente, possiamo trovare noi stessi decine di argomentazioni a favore dell’una o dell’altra tesi, argomentazioni che possono anche soddisfarci, si capisce, teoricamente possiamo trovare delle giustificazioni e possiamo dire che si può parlare di una struttura dinamica di Dio, la quale, in un infinitamente compiuto quale sarebbe il carattere di Dio, si muoverebbe dinamicamente.
E cosa dovrebbe significare ciò? Dovrebbe significare che, se è vero che Dio avrebbe adempiuto dall’eternità al suo compito, è pur vero che gli effetti di questo adempimento sono effetti incompleti, perché avendo Egli creato anche lo Spirito, ha reso questo Spirito incompleto, perché non lo ha reso simile a Lui. Lo Spirito non è una proiezione di Dio, è una Sua parziale proiezione. Avendolo Egli reso incompleto e, tuttavia, ampiamente sufficiente, è necessario che Egli esista sempre perché la Sua esistenza garantisce l’esistenza della Realtà e della Legge.
Per esempio uno degli aspetti di questo problema è un aspetto di pura curiosità. Se Dio a un certo punto non esistesse più, lo Spirito continuerebbe a esistere? E io debbo rispondere di sì, che a questo punto lo Spirito continuerebbe a esistere perché lo Spirito, in pratica, è oggi indipendente da Dio e la sua struttura è ormai eterna. E questo principio dell’eternità potrebbe essere sottratto allo Spirito, se Dio lo volesse?
Io, teoricamente, avrei dei dubbi a questo riguardo, perché il Principio dell’eternità, stabilizzandosi in maniera assoluta nella struttura dello Spirito, non è legato a Dio ed è in forza qualitativamente simile a quello di Dio.
Cioè: due eternità sono uguali, non sono l’una più forte dell’altra non esiste un’eternità più eterna e una meno eterna. Francamente, se due cose sono eterne, sono entrambe comunque eterne, hanno la stessa potenzialità. Così come non esiste un infinito più piccolo e un infinito più grande: è un assurdo matematico dire una cosa del genere: una cosa è infinita e basta, non c’è un alto e un basso, una misura più grande e una misura più piccola. Comunque questo problema che tu hai sollevato è un problema che si può discutere; però può far parte di un’altra serie di conversazioni, e non vorrei complicare ora le cose, avendo già in corso una conversazione sullo Spirito e la mente, non vorrei confondervi le idee.
Comunque, quello che abbiamo detto basta già a illuminarvi sull’importanza e sulla grandezza del problema.